1870: Commissione sull’Agro romano
Subito dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia (regio decreto 20 novembre 1870), fu istituita la Commissione governativa sull’Agro romano malarico. Fin dalle prime indagini, emersero indicazioni precise sui provvedimenti necessari per il risanamento di quel territorio. Eminenti ingegneri, agronomi, economisti, tecnici dell’amministrazione dell’agricoltura e dei lavori pubblici misero a punto, fra il 1870 e il 1872, nelle linee principali, un programma di interventi da attuarsi a cura dello Stato e dei proprietari privati. Al governo spettava l’esecuzione delle grandi opere di prosciugamento delle paludi litoranee di Ostia, Maccarese, Campo Salino e degli stagni di Pantano, Acque Albule, Baccano e Stracciacappe. Dovevano essere invece a carico dei proprietari terrieri tutti gli altri lavori necessari per eliminare il disordine idraulico della campagna: allacciamento delle sorgenti, regolazione degli scoli, eliminazione delle depressioni acquitrinose.
L’esistenza di numerose zone paludose era in parte determinata dalle particolari caratteristiche idrogeologiche del territorio: le acque scorrevano sotto gli strati impermeabili del terreno, riemergevano negli avvallamenti e vi ristagnavano a causa della «natura compatta e argillosa del suolo». La «diffusa e disordinata presenza dell’acqua», contribuendo a creare un ambiente insalubre, costituiva un ostacolo per gli insediamenti demografici. All’epoca non era ancora noto il collegamento tra malaria e zanzare (gli studi del Grassi, zoologo dell’Università di Roma, compiuti in collaborazione con i patologi Amico Bignami e Giuseppe Bastianelli, avevano permesso di stabilire, sul finire del 1898, il ruolo dell’anofele nel meccanismo di trasmissione della malaria umana. Sulla scoperta del vettore dell’infezione, v. G. CORBELLINI e L. MERZAGORA, La malaria tra passato e presente. Storia e luoghi della malattia in Italia, Roma, Corbellini e Merzagora, 1998, pp.), ma appariva evidente l’esistenza di un nesso fra i «venefici miasmi» esalati dalle acque stagnanti e l’imperversare delle febbri. Lo stato di abbandono della campagna di Roma non era tuttavia dovuto solo ai problemi idraulici, con le loro inevitabili conseguenze igieniche. Com’è stato rilevato in numerosi studi, dipendeva anche dalla situazione della proprietà terriera, concentrata nelle mani dell’aristocrazia romana e degli enti ecclesiastici. Il latifondo, nel quale dominavano la coltura estensiva del grano e la pastorizia brada, rappresentava un altro grande ostacolo al rinnovamento dei sistemi agricoli.
1878 – 1903: Obbligo di bonifica da parte dei proprietari terrieri e agevolazioni
Un importante passo in avanti fu l’approvazione della legge del 1878 per «provvedere al miglioramento igienico della città e campagna di Roma», che dichiarò di pubblica utilità la bonificazione dell’Agro romano. Precedendo di qualche anno la prima legge nazionale sulle bonifiche, affidò allo Stato gli interventi idraulici di carattere straordinario necessari per prosciugare le paludi e gli stagni di Ostia e di
Maccarese, il lago dei Tartari, le paludi di Stracciacappe, i bassifondi dell’Almone, di Pantano e di Baccano. Ai proprietari dei terreni impose di riunirsi in consorzio per far eseguire i lavori necessari all’incanalamento e allo scolo delle acque nel resto del territorio. La stessa legge, inoltre, affermò la necessità del «bonificamento, anche nei rispetti agricoli, di una zona di terra per un raggio di circa dieci chilometri dal centro di Roma».
Successivamente, in base alla legge 8 luglio 1883, la bonifica agraria divenne obbligatoria per i possessori dei fondi compresi in quel perimetro e fu prevista una sanzione forte, l’esproprio per ragioni di pubblica utilità, per contrastare gli inadempienti. A queste Leggi però corrisposero il disinteresse e l’inerzia quasi totale della proprietà. Nel 1887, su 122 tenute controllate, quante erano quelle comprese nel perimetro della bonifica obbligatoria, soltanto in 27 erano stati introdotti miglioramenti per la maggior parte da valutare come «di piccola importanza in confronto di quelli prescritti» anche perché era evidente l’inutilità della minaccia dell’esproprio (che si sarebbe concretizzata in soli tre casi nell’arco di un ventennio). Sulla base di tali realistiche considerazioni, fu approvata la nuova legge per l’Agro romano del 13 dicembre 1903, che faceva leva soprattutto sulla concessione di facilitazioni e aiuti finanziari ai possessori dei fondi per la realizzazione di quei lavori di bonifica che avrebbero comunque determinato un aumento della produttività e del valore dei terreni.
La prima forma di incentivo statale consisteva nell’esenzione decennale dall’imposta fondiaria dei fabbricati rurali e dei terreni sui quali fossero eseguite trasformazioni agrarie e costruite case, stalle e strade. Altra agevolazione, che ricalcava quelle concesse ai consorzi di bonifica nel 1882, era rappresentata dalla riduzione delle tasse di registro e ipotecarie su tutti gli atti stipulati allo scopo di rendere possibile la realizzazione dei miglioramenti colturali, quali i contratti di fitto a miglioria o di enfiteusi. Inoltre fu prevista l’erogazione di finanziamenti statali a favore dei proprietari che si impegnassero a realizzare progetti di bonifica agraria oppure lavori di risanamento idraulico che, in base alle precedenti leggi in materia, fossero da ascrivere ai singoli fondi. Si scelse la forma dei mutui agevolati, all’interesse del 2,50 per cento e rimborsabili in quarantacinque annualità, con decorrenza dal
quinto anno successivo al contratto.
1904: I piani di trasformazione agraria
Con decreto 17 febbraio 1904 dei ministri dell’agricoltura, industria e commercio e dei lavori pubblici (MAIC), fu nominata una commissione incaricata di preparare lo schema di coordinamento in testo unico delle leggi del 1903 e del 1883 sul bonificamento agrario. Il testo unico fu approvato con r.d. 10 novembre 1905, n. 647, udita anche la speciale Commissione di vigilanza istituita dalla legge del 1903. Alla nuova commissione, costituita presso il MAIC con r.d. 22 dicembre 1904, n. 707, spettava di esaminare i piani di trasformazione agraria presentati dai proprietari della zona sottoposta a bonifica obbligatoria. In assenza dell’iniziativa dei proprietari, avrebbe predisposto unilateralmente i piani di bonifica. Le decisioni dovevano essere comunicate agli interessati con notificazioni ministeriali. In caso di mancata esecuzione dei lavori prescritti entro un determinato termine, potevano essere avviate dal ministero le procedure per l’espropriazione e per la successiva vendita dei terreni. Alla Commissione spettava di pronunciarsi sulla divisione in lotti dei fondi espropriati, secondo il criterio più conveniente ai fini della bonifica idraulica e agraria.
Alla fine del 1909 la pianificazione degli interventi copriva già 41.950 ettari dei 43.800 costituenti l’intera area interessata dalla legge del 1905. I contratti di mutuo del periodo fra 1908 e 1910 furono 35. I principali, quelli cioè che prevedevano erogazioni di somme fra 100.000 e 500.000 lire, riguardarono le tenute di Rebibbia, Cervelletta, Palmarola, Casetta Mattei, le tre proprietà del principe Borghese (Torre Nuova, Pantano Vecchio e Pantano Nuovo o Corvo), Quarto di Ponte Salaro, Acquatraversa,
Casal del Marmo, Valchetta o Grotta Rossa, Tre Fontane. Grandi tenute, come Torrenova o Roma Vecchia, aventi una superficie di circa 2.000 ettari, furono divise in otto unità estese dai 190 ai 360 ettari. Nelle notificazioni veniva fissato il numero minimo degli operai necessari per ciascuna unità e, di conseguenza, il numero di vani delle abitazioni da costruire. Era stabilita anche la quantità dei «capi grossi» di bestiame da tenere sul fondo, al quale erano commisurate le dimensioni di stalle e concimaie. Ne risultava delineata, nei suoi elementi essenziali, la configurazione dei centri abitati da costituire: dimensioni e caratteristiche dei fabbricati rapportati al numero delle famiglie coloniche e degli avventizi destinati a risiedervi; capienza e tipologia di stalle, concimaie, fontanili; collegamento, attraverso la costruzione di strade poderali, con gli altri centri o con le strade pubbliche. Raramente veniva imposto l’impianto di determinate colture. Delle otto unità di Torre Nuova, solo per la prima si diceva che avrebbe dovuto essere intensivamente coltivata adibendo alcuni appezzamenti a orti, frutteti, gelseti; per alcune lingue di terra che si incuneavano nel territorio di Frascati, inoltre, si proponeva che fossero «cedute in enfiteusi o concesse in affitto a miglioria con lungo contratto a vignaroli capaci con l’obbligo di ridurle a vigne o a frutteti».
Diverse società cooperative furono costituite con lo scopo di edificare borgate ai sensi delle leggi del 1910 e del 1919. Società come la «Cooperativa borgate agricole Roma», la «Parva Domus» e la «Tor Sapienza», sorte rispettivamente nel maggio 1918 e nel giugno e novembre del 1919, domandarono al Ministero dell’agricoltura l’autorizzazione per i nuovi centri e l’ammissione ai mutui di favore previsti dalla legge. Nel frattempo si andavano ampliando, rispetto ai nuclei iniziali, anche le prime borgate sorte in seguito alla legge del 1910. Si verificarono in alcuni casi trasferimenti di proprietà delle tenute a favore di grosse società di bonifica che determinarono un aumento delle zone appoderate e delle aree destinate a fabbricati di abitazione.
Il d.l.lgt. 24 aprile 1919, conteneva anche disposizioni finalizzate ad attribuire un ruolo più rilevante a società ed enti costituiti a scopo di bonifica e colonizzazione, ai quali il Ministero di agricoltura poteva concedere l’esecuzione delle opere di miglioramento obbligatorie, nei casi di inadempienza dei proprietari, in alternativa all’esproprio. La concessione doveva essere fatta con una speciale convenzione in cui risultassero disciplinati gli obblighi e i diritti della società o ente, nei confronti sia dello Stato che del proprietario. Quest’ultimo avrebbe ceduto il fondo in affitto al concessionario per il tempo occorrente al completamento dei lavori. Il Ministero poteva anche «rendersi acquirente dei terreni soggetti a spropriazione, sia per tenute intere, sia per parte di esse». Successivamente poteva cederli a società, enti o privati imprenditori che avrebbero eseguito gli interventi di trasformazione agraria in base ai piani tecnici ed economici approvati dal Ministero stesso e finanziati con mutui di favore. Su un totale di oltre cinquanta contratti stipulati dal ministero con società nel decennio successivo alla guerra, una quindicina risultano intestati a cooperative agricole. Si tratta di mutui destinati a fondi già facenti parte di grandi possessi, che furono venduti o ceduti in enfiteusi a cooperative che si riproponevano di bonificarli, avvalendosi delle leggi in materia, come è spesso dichiarato negli atti di compravendita.
1921: Società anonima per la bonifica e la colonizzazione di Torrenova
Fra le società intestatarie dei contratti stipulati nel corso degli anni Venti troviamo, seguendo l’ordine cronologico dei contratti stessi, la seguente: Società anonima per la bonifica e la colonizzazione di Torrenova (1921). Appare istruttivo, da questo punto di vista, l’esame ravvicinato della vicenda della tenuta di Torrenova, una parte della quale (1200 ettari circa) fu ceduta a una società anonima nel novembre del 1920, epoca in cui si erano già verificate occupazioni contadine nelle altre terre del principe Borghese, a Pantano e a Montecompatri.
Scipione Borghese divenne il principale azionista e il presidente della Società per la bonifica e la colonizzazione di Torrenova, che presentò, nello stesso anno, domanda di un mutuo per l’appoderamento della tenuta. Un primo progetto, sottoposto all’approvazione della Commissione di vigilanza, proponeva un frazionamento che fu giudicato eccessivo. Nel nuovo piano presentato dalla Società, per il quale fu poi concesso il mutuo del 29 marzo 1921 (L. 1.200.000), furono previsti solo 14 centri colonici – invece dei 43 del primo progetto – la cui ubicazione era studiata in modo da non pregiudicare una successiva ulteriore suddivisione dei poderi in più lotti. In seguito, fra il 1922 e il 1923, fu autorizzata, in quanto rispondente ai criteri tecnici del bonificamento, la vendita di alcune unità decentrate della tenuta (Due Torri, Giardinetto, Villa), divise a loro volta in quote, che avrebbero dato origine a piccoli nuclei abitati con annesse coltivazioni di carattere prevalentemente ortivo.
Il fondo Giardinetto, sul quale erano stati già costruiti dalla Società di Torrenova un fabbricato e altre opere annesse, fu venduto nel luglio 1923 all’ingegnere Sante Astaldi. Il nuovo proprietario ne propose l’ulteriore suddivisione in tre poderi – di superficie di 16, 20 e 30 ettari – da dotare
di abitazioni per famiglie coloniche. Nel progetto, giudicato favorevolmente dall’Ufficio del bonificamento, era prevista una sistemazione dei poderi che ricalcava quella studiata dallo stesso Ministero dell’agricoltura per la confinante zona di colonizzazione di Torre Spaccata.
Simile fu la vicenda del vocabolo Due Torri: una parte del terreno fu quotizzata per edificarvi diverse casette rurali e dare origine a un piccolo centro abitato, destinato a valorizzare il resto della proprietà. Tale esito di forte frazionamento, a soli due anni dall’approvazione del piano per una limitata parcellizzazione di Torrenova, non è che un esempio del modo in cui si moltiplicarono in quegli anni i nuclei abitati, non di rado a ridosso dei centri di colonizzazione creati nelle zone espropriate per pubblica utilità, dei quali si dirà più avanti. È sempre su terreni dell’ex tenuta di Torrenova, lungo la via Casilina, che pochi anni più tardi (1932) sarà costruita dalla Società anonima imprese agricole (S.A.I.A) la borgata di Torre Gaia, centro progettato secondo la tipologia prevista dal decreto del 1919.
Dopo un paio di anni dalla sua costituzione la Società per la bonifica di Torrenova inizia la vendita del territorio ed il sig. Augusto Consolini il 16.05.1923 compra un terreno (l’unità Livia, comprendente anche la futura Torre Gaia) che va da via Grotte Celoni (dal nome del precettore dei figli di Settimio Severo, Lucio Fabio Cilone) al fosso della Torre, situato oltre il Papillo.
Il 28.12.1928 la Società Anonima Imprese Agricole (S.A.I.A.) compra da A. Consolini una parte della sua proprietà per costruirvi delle abitazioni rurali. Il terreno viene lottizzato e venduto. Nel 1930 vengono fatte le prime ville, dalla Casilina fino all’attuale Piazza Pupinia (prende il nome da un’antica tribù locale). Una di esse ha una torretta e ciò suggerisce all’ing. Senni (uno dei costruttori) il toponimo di Torre Gaia al nuovo agglomerato di case. In questa villa, nel 1933, arriveranno le suore francescane Alcanterine che cureranno un orfanotrofio ed apriranno le prime scuole della zona.
Il 31.05.1932 il Ministro Agricoltura e Foreste costituisce la nuova borgata con decreto n°3843, mentre il Governatore di Roma la riconosce il 9.12.1932.
Una festa nella cappella delle suore francescane il 4 ottobre 1934, onora l’anniversario di S. Francesco e festeggia la nascita di Torre Gaia. Tutti i proprietari della nuova borgata si raggruppano ed il 28.12.1935 costituiscono il Consorzio di Miglioramento Fondiario di Torre Gaia che, nel suo statuto, recepisce anche una convenzione urbanistica con il Governatore di Roma.
Il Consorzio viene riconosciuto con il D.R. 8.04.1937. La durata del Consorzio, con sede in via di Torre Gaia 19, fu stabilita in 50 anni rinnovabili. La delibera di rinnovo è stata fatta il 23.11.1984.
Nel novembre 1947 apre, in via di Valle Alessandra (toponimo che ricorda il terreno locale attraversato dall’acquedotto Alessandrino) anche la casa della Congregazione delle suore Angeliche di San Paolo.
Torre Gaia: la “storia” di come è nato il nome
Testi
Storia dell’inizio del Consorzio: consorziotorregaia.it
Storia dei mutui per le bonifiche: MUTUI PER LA BONIFICA AGRARIA DELL’AGRO ROMANO E PONTINO (1905-1975)